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Ignazio Puglisi/la pubblicazione
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puglisi

dal quaderno
Ritratti d’artista - Ignazio Puglisi

a cura di Corrado Di Pietro


con testi di: Sebastiano Burgaretta, Luigi Lombardo
e Corrado Di Pietro


I pupi hanno due funzioni sceniche: sono dei personaggi (Orlando, Rinaldo, Angelica) e rappresentano anche dei simboli (il coraggio, la furbizia, la bellezza); sono essi stessi portatori di una storia, e non la rappresentano soltanto ma la vivono di continuo, ogni volta che il sipario si apre ed essi si presentano sulla scena. È la quintessenza del teatro stesso, così come ebbe a sperimentarla Pirandello con i suoi “Sei personaggi in cerca di autore”. Il drammaturgo agrigentino fece assurgere l’attore a personaggio, libero e indipendente da ogni copione o da ogni costrizione formale, e assistette quasi impotente alla rappresentazione del loro stesso destino; così accade nell’opera dei pupi! Orlando è sempre Orlando e farà sempre gli stessi gesti e dirà sempre le stesse parole con quel suo tono eroico e stentoreo che piace ai forti e ai coraggiosi, mentre Gano di Maganza avrà sempre la stessa faccia e la stessa voce nasale e un atteggiamento mellifluo per simboleggiare il tradimento e il male.

Il vecchio puparo conosceva queste sfumature psicologiche e teatrali e proprio su queste precostituite connotazioni impiantava le sue storie, tratte certo dalle antiche opere cavalleresche ma ricreate ogni sera, secondo anche gli umori del pubblico, che non di rado inveiva, gridava e sollecitava le azioni o le stesse parole del puparo. Don Ignazio recitava tutte le parti, anche quelle femminili, e doveva trovare per ognuno la giusta sfumatura tonale, il timbro di voce più adatto e pertinente; lui doveva manovrare i pupi, grandi quasi al naturale e pesanti oltre i trenta chili, e doveva anche svolgere le tele dei fondali e preparare i “trucchi” del fuoco e del fumo che entravano in scena.

da Il principe puparo di Corrado Di Pietro

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Manlio ha gli occhi lucidi per la commozione del ricordo e guarda i pupi che erano stati di suo nonno come si guarda una persona cara, un’amante, un figlio o la propria madre. Quel trasferimento a Sortino di suo nonno è come l’inizio della sua stessa storia, la prima sua radice in questo paese sempre agghindato con i merletti della festa.

«Era mio padre, Giovanni, ad aiutare mio nonno a montare il teatrino e a manovrare i pupi, insieme ad altri bravi giovani di Sortino, fino a quando non insegnava ad altre persone del luogo l’arte del “maniante”. Poi mio padre smise di viaggiare con mio nonno e lo aiutava solo nelle serate importanti. Ricordo quei periodi come fosse oggi: mi rannicchiavo in un posticino sopra il palco e rimanevo incantato a vedere recitare mio nonno mentre muoveva quei giganteschi e pesantissimi pupi. Di giorno andavamo sempre nel teatro a sistemare i pupi e prepararli per la nuova serata; si andava a cambiare il cartellone con il piccolo riassunto che il nonno scriveva con l’inchiostro su carta velina; nei ritagli di tempo dipingeva le sue scene su tela che attaccava al muro in una parete della casa, e mi spiegava tutti i trucchi della pittura, basata su terre e colla di coniglio. Per me era il periodo dei perché e lui sapientemente rispondeva ad ogni mia domanda.

Di solito al crepuscolo passeggiava per la strada vicino casa con le mani dietro la schiena recitando a voce alta, molte persone hanno scritto che ripassava i suoi spettacoli, per la prima volta scrivo che questo non è vero, il nonno non ripassava niente perché ormai non dava spettacoli, ma riviveva i periodi d’oro della sua vita, recitando a puntate le storie che lo avevano segnato, era come un rivisitare i luoghi insieme a sua moglie. Non mi vergogno a dire che a volte abbiamo dato spettacoli per sei o sette persone, io lo esortavo a chiudere, ma il suo amore sfrenato per quest’arte gli dava la forza di andare avanti.

L’ultimo spettacolo lo abbiamo fatto insieme, nell’ottobre del 1983, in occasione di una Sagra del Miele a Sortino, nel piazzale dei frati Cappuccini. Lui era molto stanco e a sostenerlo c’ero solamente io; di quello spettacolo conservo l’unico suo filmato, diede il “Ruggiero di Risa”.

da Intervista a Manlio Puglisi di Corrado Di Pietro

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Il merito di aver scoperto e valorizzato la figura di questo puparo si deve ad Antonino Uccello, che lo chiamò nel 1971 ad allestire il teatrino dei pupi della Casa Museo e a dipingere lo sfondo del presepe stabile dello stesso Museo.

Ricordo che lo andavo a prendere io col professore Uccello a Sortino e poi lo riaccompagnavamo la sera. Era un uomo di poche parole, una figura ieratica, dalla voce possente con un tono piacevolmente rauco e gutturale, che si stagliava netta e imponente. Alla sua facondia sulla scena faceva da contrasto, come detto, una certa ritrosia e quasi fastidio nel rispondere alle domande che gli si ponevano. Erano in effetti il suo pudore e timidezza, che lo portavano a sottovalutarsi e a non fregiarsi di capacità che in effetti aveva. Piaceva ad Uccello proprio per questa sua ritrosia, questo pudore infantile, che lo portava ad affruntarsi davanti ad una domanda sulla sua attività, peggio ancora per un complimento o una lode di qualche estimatore.

Mise su un teatrino nel maiazzè piccolo del Museo, che si rivelò essere una antica stalla per la presenza di un pavimento ad acciottolato che scoprimmo per caso sotto il pavimento di “scaglietta e gesso” dei primi del ‘900.

Lo aiutavamo tutti e in particolare il falegname Gianni, che sotto la sua direzione incravaccò la struttura, con Uccello che sembrava davvero un volatile per come zompava di qua e di là sugli sconnessi ciottoli della stalla, al punto che temevamo spesso per la sua incolumità. Lui, Puglisi, invece se ne stava immobile a dirigere con poche parole l’opera che il mastro metteva su con competenza. Alla fine fu contento e salito sul palco provò il teatrino, improvvisando un movimento di un pupo in azione: era Orlando manco a dirlo, il suo pupo preferito, quello eroico e sofferente. Era presente anche il figlio di don Ignazio, anche lui silenzioso e in disparte, per non intralciare l’opera del padre. Il figlio aiutava il padre a montare e smontare l’opra nei trasferimenti del teatrino in giro per la provincia. Perché in effetti grazie all’incontro con Uccello il Puglisi fu chiamato dall’Ente Provinciale Turismo a tenere spettacoli per turisti e personaggi illustri. E così poté riprendere un’attività ormai trentennale.

da Incontro con Don Ignazio Puglisi di Luigi Lombardo

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BIBLIOGRAFIA:

Molte sono le citazioni su don Ignazio Puglisi, sulla sua Opera dei pupi, sui suoi cartelloni e sulle sue marionette, sparse su diverse pubblicazioni delle quali qui ne riportiamo alcune:

  • Barbara e Fortunato Pasqualino. L’arte dei pupi. Rusconi immagini. Pavia 1983.

  • Corrado Di Pietro (a cura di). Depliant delle Rassegne del Teatro delle Marionette di Sortino, anni 1999, 2000.

  • Mimmo Cuticchio (a cura di). 3ª Rassegna del Teatro delle Marionette, Sortino 2001.

  • Mimmo Cuticchio (a cura di). 4ª Rassegna del Teatro delle Marionette, Sortino 2002.

  • Corrado Di Pietro (a cura di). 5ª Rassegna del Teatro delle Marionette, Sortino 2003.

  • Antonio Pasqualino. L’opera dei pupi. Enzo Sellerio. Palermo, 1977.

  • Maurizio Buscarino. Dei Pupi. Mondatori Electa, Milano 2003.

Un contributo più significativo lo troviamo nei seguenti testi:

  • Giovanna Marino. Siracusa e l’Opera dei pupi. Terzopiano Edizioni. Senza data. Pagg. 93-99

  • Antonino Uccello. L’opera dei Pupi nel siracusano. Siracusa 1965 pagg. 134-137

  • Sebastiano Burgaretta. Retablo Siciliano. Museo Teatrale alla Scala, Milano 1997

  • Pietro Seddio. I pupi siciliani. Nicola Calabria Editore. Pavia, 2004

Riviste e giornali:

  • Gaetano Belverde. I Mediterranei. Bimestrale, marzo-aprile e maggio-giugno 2006. Editore Video Mediterraneo, Catania.

  • Matteo Bassi. Rivivere la storia. Luglio-agosto 2003. Edizione Trentini, Argenta (Ferrara).

  • Franco Cristofori. Carlino Sera del 26 settembre 1968.

  • Giuseppe Di Maria. L’aretuseo. Quotidiano di Siracusa del 29 ottobre 1966.

  • Enzo Salemi. Il Diario, quotidiano di Siracusa del 30 settembre 1976.

  • Sebastiano Burgaretta. Quale futuro per i pupi di Ignazio Puglisi? In “Il Cantastorie” nn. 61-62 , 1983.

  • Sebastiano Burgaretta. Teatro dei pupi siciliani in lutto. In “Il Cantastorie” n. 72 , 1986.

Su don Ignazio sono state scritte anche diverse tesi di laurea.
Qui riportiamo le due delle quali siamo venuti a conoscenza:

  • Cecilia Mezio. Manoscritto di un puparo siracusano: Il Tigreleone di don Ignazio Puglisi. Catania a.a. 1997-98.

  • Maria Marino. I pupi di ran Gnaziu. Tesi in antropologia culturale. Catania a.a. 2005 -2006.


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