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Filippo Bentivegna
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Scultore (Sciacca 1885 - 1967)

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Lo scultore autodidatta Filippo Bentivegna proviene da una famiglia di pescatori, è il secondo di sei fratelli; intorno al 1910, come tanti siciliani di allora, emigra negli Stati Uniti in cerca di lavoro.

L’America è un sogno violento da cui si sveglia stordito, un colpo in testa lo ha reso “diverso”, immemore, come lui stesso racconta in una testimonianza trascritta da Ettore Martinez nel 1960: “Una bastonata me dettero. Proprio qui sulla testa. Per molti giorni nulla ricordai. Poi i medici mi guarirono. Fu allora che io cominciai a scolpire la roccia…”. La vicenda è avvolta nel mistero; un trauma profondo lo rende inabile al lavoro e lo restituisce come un naufrago alla sua isola, dove la follia, da tempi lontani, si aggira come un ospite discreto e familiare.

Dopo l’esperienza traumatica dell’emigrazione americana vissuta nei primi decenni del Novecento, torna in Sicilia e, all’inizio degli anni Venti, acquista un appezzamento di terra a pochi chilometri da Sciacca.

Ai piedi del monte Cronio costruisce un rifugio di pietra abitato da una moltitudine di teste scolpite nella roccia e nei tronchi d’ulivo, una folla immobile che silenziosa guarda al suo signore: “Filippu di li testi”, unico creatore di questo giardino dell’immaginazione che silenzioso si stende tra le sterpaglie di Sicilia.

Lontano dal mondo, nel suo “Castello Incantato”, Filippo Bentivegna racconta nella pietra e nel legno le sue visioni. Un’urgenza interiore e insopprimibile lo spinge a scolpire volti che intravede nella pietra e che battezza con nomi illustri come: Garibaldi, Mussolini, Giulio Cesare, Napoleone.

Quando non gli restano più pietre o alberi da scolpire comincia a scavare nella terra creando cunicoli labirintici dove trova nuova materia calcarea, morbida e bianca da plasmare. Così, accanto al popolo di pietra che vive tra carrubi, ulivi e fichi d’india, va prendendo forma un mondo sotterraneo e labirintico abitato da creature scolpite nel ventre della montagna.

Bentivegna crea per sé, per una necessità di comunicazione e relazione con la natura; non ha alcun interesse a mostrare le sue opere. Il suo podere, tra il giallo arido dei campi di Sicilia, sorge come una montagna di pietra e sterpaglia invasa da teste scolpite e lasciate a giacere ovunque: sotto il sole o nella casetta di legno costruita al centro del terreno.

Senza aver mai avuto contatti con il mondo dell’arte ufficiale, durante cinquanta anni d’ininterrotta attività, ha dato vita ad una produzione copiosa e di grande intensità artistica il cui pregio è oggi ufficialmente riconosciuto. Alcune sculture, segnalate da Gabriele Stocchi a Jean Dubuffet nei primi anni Settanta, vengono acquisite alla Collezione d’Art Brut di Losanna di cui formano parte dal 1976.

Dopo la morte di “Filippu di li testi” nel 1967, il “Castello Incantato” diventa terra di nessuno; molte opere a poco a poco scompaiono: distrutte, disperse, vendute o trafugate. Negli anni Settanta il podere viene acquistato dalla Regione Siciliana e, una volta restaurato, assume il nome ufficiale di Fondo Bentivegna

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il documentario
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la pubblicazione

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i luoghi
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