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  balistreri        
   

Rosa Balistreri/la pubblicazione
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puglisi

dal quaderno
Ritratti d’artista - Rosa Balistreri

a cura di Francesco Giunta

con testi di: Marilena Monti, Gigi Razete, Mario Incudine
e Roberto Di Cara

E’ forse questo l’aspetto più importante e profondo della personalità di Rosa: la sua incommensurabile umanità, vera chiave di accesso alla sua voce, alla sua arte, alla sua anima. Il suo percorso artistico, tessuto e intima trama della sua vicenda caparbiamente e consapevolmente umana, lo si può raccontare, ma soprattutto ascoltare. Da quella voce che è strumento capace di piegare la parola-melodia per travalicarne il significato immediato e lasciare intravedere gli ampi spazi espressivi per raggiungere zone recondite e inesplorate del canto, utilizzando tempere e pastelli inesistenti sulla tavolozza di altri interpreti, quasi proibite e lontane eppure improvvisamente e ancestralmente familiari e vicine all’ascoltatore.

Ed era comunque già coraggio il cantare. Anche quando registrerà e continuerà a cantare lontano dai mezzi e dai fini dell’industria discografica che ormai da tempo l’aveva abbandonata. Come quel giorno di capodanno in cui Felice Liotti riesce a strapparle un’interpretazione di Vitti na crozza che lei, giustamente, non volle mai cantare in pubblico cosciente dell’uso e dell’abuso che troppi avevano fatto di quella canzone ridotta a rappresentare, ancora oggi, l’oltraggio più grave e insopportabile che il canto in siciliano abbia mai subito. Rosa restò fuori dalle contese ideologiche che scoppiarono intorno a quel brano. Non la cantò e basta. Sapeva che le sorti del canto in siciliano erano - e sono - legate a ben altre battaglie.

E’ nello studio di una piccola radio locale di Palermo, infine, che Rosa canta Quannu moru, quello che lei stessa definisce il suo testamento. E ancora una volta riesce a dire tutto, nello spazio di pochissimi versi e nell’alternarsi di pochissime note.

Noi, per andare avanti, non possiamo che fermarci ad ascoltare.

dall’Introduzione di Francesco Giunta

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Affrontò ogni tipo di lavoro anche in Toscana, fino a quando un incontro fortunato, le offrì la possibilità di poter cantare: a gola spiegata, a cuore aperto, finalmente per un pubblico vero, senza paura di essere bastonata, con l’orgoglio del suo unico tesoro povero e splendente. Non si montò la testa, mai, neppure quando si esibì, in teatri famosi, in Italia e all’estero, diretta da registi di fama, a fianco di grandi attori.

Aveva raccolto giorno per giorno, nella sua misera vita, la sola cosa che la rendesse felice: una serie di canti della tradizione. Canti di lavoro, di disperazione, ninna nanne, canti di carrettieri e “jurnatari”, d’amore e di lotta. Li aveva raccolti probabilmente, con la stessa devozione con la quale raccoglieva spighe o capperi da andare a vendere, li aveva ripetuti migliaia di volte pulendo le sarde per il salato, nelle giornate di lavoro stagionale, unico periodo roseo dell’anno, quello in cui, comunque, un piatto di sarde, dopo sedici ore di lavoro, il padrone, glielo regalava: ed era quella la paga!

Immaginavo, guardando il suo volto prematuramente rugoso, quanta arsura e quante lacrime avessero resa così dura la sua pelle, e mi chiedevo come avesse fatto a non indurirsi il suo cuore. Era sì, una donna combattiva e talvolta anche litigiosa, ma era capace, con chi si poneva con lei in maniera gentile e attenta, di straordinaria dolcezza, di una amabilità umile e commovente. In lei era rappresentata la gamma totale dell’essere donna di Sicilia: le donne forti, capaci di tutto, femmine animali in grado di sbranare per difendere i cuccioli, argute e veloci, geniali e fantasiose, romantiche senza eccesso, capaci di darsi totalmente, capaci di chiudere e seppellire, ove necessario e seppur con dolore, porte e pezzi di vita.

da Rosa Balistreri, voce di terra di Marilena Monti

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Quando Rosa Balistreri, poco oltre la metà degli anni Sessanta, approda alle sue prime incisioni, il panorama discografico nazionale è agitato dal vento impetuoso del beat. Non sorprende, dunque, che quella manciata di ruvidi 45 giri in siciliano, alcuni mimetizzati (pare per l’ostracismo della famiglia) sotto lo pseudonimo “Rusidda ‘a licatisa” e tutti pubblicati da piccole etichette di precaria distribuzione, si disperdano ben presto come microscopici granelli di polvere.

Le classifiche del tempo sono dominate da Adriano Celentano, Rita Pavone, Mina, Gianni Morandi, Caterina Caselli, Lucio Battisti, Bobby Solo, Little Tony, Camaleonti, Patty Pravo, Equipe 84, Rokes, Dik Dik e dall’incalzante onda lunga di miti anglosassoni vecchi e nuovi come Beatles, Rolling Stones, Procol Harum, Gene Pitney, Cher, Aphrodite’s Child, Tom Jones, Rocky Roberts ed altri.

E’ uno scenario senz’altro contraddittorio ma straordinariamente vivace e pulsante, in cui il peso delle nuove generazioni comincia a diventare sempre più determinante nell’orientare tendenze culturali, mode e mercato discografico

Insomma, le novità che in quel periodo si affastellano all’orizzonte, un orizzonte sempre più proteso ad abbracciare tutto il mondo, sono davvero troppe e convulse perché possa essere prestata significativa attenzione all’ingenua essenzialità di canzoni, quasi tutte pubblicate su etichetta Tauro Record, come “O cuntadinu sutta lu zappuni”, “A siminzina”, “U cunigghiu”, “Acidduzzu”, “A pinnula”, “Lu venniri matinu” e tutte le altre che in quei primi acerbi singoli parlano di una terra scomoda, aspra e che appare remota. Canzoni che, accanto ad alcune maliziosità che oggi inteneriscono per la delicatezza con cui sono risolte, narrano con accenti vibranti storie di povertà, semplicità, quotidianità ed orgoglio, storie che non si avvalgono di alcuna trasfigurazione poetica perché rappresentano l’autentico vissuto che ha marchiato la vita di Rosa fin da quando, ancora bambina, era già a lavorare nei campi, a scontare quelle fatiche e quegli stenti che poi avrebbe tradotto in canto, raccontando di emigranti, contadini, comari, zolfatari e carcerati. Il personaggio, inoltre, è troppo schietto e avulso da sovrastrutture artistiche, professionali o intellettuali perché possa avere un qualsivoglia impatto mediatico in una scena che, viceversa, si avvia ad essere dominata sempre più dalla fascinazione dell’immagine e del consenso.

da Le incisioni di Rosa Balistreri nel panorama discografico del suo tempo di Gigi Razete

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Chi ascolta la voce di Rosa Balistreri ancora oggi, a sedici anni dalla sua scomparsa e a oltre un quarto di secolo dal suo periodo di massima popolarità, non può fare a meno di ritrovare, nella sua timbrica di pietra e velluto, la vera anima della Sicilia, quella che Verga chiamava “L’anima du munnu”. Chi penetra nei suoi canti rivede l’aridità dei campi, il buio delle miniere di zolfo, il dolore e la solitudine dei carcerati, ma anche l’umorismo sottile di questa Isola. E poi soprattutto l’amore. Quell’amore che, grazie alla sua interpretazione, tocca tutti i registri dell’emotività, passando con armonica (e talvolta drammatica) leggerezza dalla tenerezza alla follia, dalla passione allo sdegno, dalla dolcezza alla rabbia. Tutto questo è il canto di Rosa che, seppure estremamente connesso alla sua straordinaria vocalità, non può non avere relazione con il repertorio che ha interpretato nella sua carriera e con le origini di almeno gran parte di queste stesse pagine della storia della musica siciliana. “Se noi appoggiamo l’orecchio a terra, allora sentiamo risuonare il canto immortale della Terra nostra”, scriveva Alberto Favara ed è proprio quello che la Balistreri fece fin dalla sua giovinezza, nella sua Licata dove forte era, come in tutto il sud d’Italia, la centralità della trasmissione orale del sapere.

Nei primi anni Sessanta Rosa chiuse il suo baule di dialetto e di ricordi impolverati e lasciò la Sicilia per raggiungere Firenze. E se fino a quel momento la sua conoscenza della musica tradizionale era stata solo “de visu”, nella capitale toscana del padre di Caterina Bueno conoscerà l’opera più completa dell’etnomusicologia siciliana, il Corpus di musiche popolari siciliane di Alberto Favara. Fu il pittore Manfredi, oggi ottantenne, il compagno con cui Rosa convisse proprio in quegli anni, a metterla in contatto con il fratello del poeta pacifista e cantante di musica popolare Giuseppe Ganduscio. La scoperta del Corpus rappresentò un momento di fondamentale importanza per il futuro della Balistreri: l’opera di Favara (curata e pubblicata nel 1957 dal genero, il musicologo Ottavio Tybi) rappresenta un privilegio tutto siciliano, una straordinaria singolarità, in materia di musica tradizionale, rispetto ad altre regioni d’Italia, un patrimonio da cui attingere a piene mani. E’ il frutto di un’ intera esistenza dedicata alla musica popolare per il quale Favara girò tutta la Sicilia raccogliendo 1.090 pezzi tra canti lirici, ninne nanne, repiti, canti di mare, preghiere, abbanniate, ritmi e canzoni a ballo.

da Origini e “ricchezza” del repertorio di Rosa Balistreri di Mario Incudine

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DISCOGRAFIA

  • La voce della Sicilia (1967, Tauro Record)
  • Un matrimonio infelice (1967, Tauro Record)
  • La cantatrice del Sud (1973, RCA ried. de La voce della Sicilia)
  • Amore tu lo sai la vita è amara (1971, Cetra Folk)
  • Terra che non senti (1973, Cetra Folk)
  • Noi siamo nell'inferno carcerati (1974, Cetra Folk)
  • Amuri senza amuri (1974, Cetra Folk)
  • Vinni a cantari all'ariu scuvertu (1978, Cetra Folk
  • Concerto di Natale (1985, PDR)
  • Rosa Balistreri (1996, Teatro del Sole - ried. in CD de La voce della Sicilia)
  • Un matrimonio infelice (1997, Teatro del Sole - ried. in CD)
  • Rari e Inediti (1997, Teatro del Sole)
  • Amore tu lo sai la vita è amara (2000, Teatro del Sole - ried. in CD)
  • Terra che non senti (2000, Teatro del Sole - ried. in CD)
  • Noi siamo nell'inferno carcerati (2000, Teatro del Sole - ried. in CD)
  • Vinni a cantari all'ariu scuvertu (2000, Teatro del Sole - ried. in CD)
  • Collection .. la raggia, lu duluru, la passione (2004, Lucky Planets)
  • Rosa canta e cunta - Rari e Inediti (2007, Teatro del Sole)

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BIBLIOGRAFIA

  • G.Cantavenere, Rosa Balistreri, Vita di una cantante folk, La luna edizioni, Palermo 1992

 


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il documentario
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la pubblicazione


DISCOGRAFIA

BIBLIOGRAFIA
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i luoghi
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