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Abitare una casa per abitare un quartiere

Redazione

A Torino abbiamo partecipato al convegno organizzato dalle Rete delle Case di Quartiere www.casedelquartieretorino.org e dalla rivista Animazione Sociale www.animazionesociale.it su un tema che da sempre ci sta molto a cuore ed esploriamo nei diversi progetti che CLAC promuove a Palermo: come stanno cambiando le forme di socialità urbana? Cosa vuol dire oggi “fare città”? Quali potenzialità ma anche quali rischi e fragilità sono insite nelle auto-organizzazioni dei cittadini, nelle nuove forme di comunità, nelle governance partecipate?

Le Case del quartiere di Torino sono spazi ibridi molto legati al territorio in cui operano e per questo anche molto diverse tra loro, hanno forme di governance miste pubblico-private e svolgono funzioni diverse e integrate, da servizi di welfare a centri di aggregazione giovanile e non, promuovono l’attivazione dei cittadini e si propongono come piattaforme di facilitazione per la partecipazione, l’occupazione, l’integrazione. Con il progetto “Di casa in casa” hanno vinto il bando cheFARE e stanno sperimentando un nuovo modello di governance di rete. Certo a Torino la presenza e il sostegno pubblico, così come l’impegno della Compagnia di San Paolo in questi processi, sono molto forti e caratterizzanti ma ciò nonostante è stato molto interessante approfondire i modelli di sostenibilità ibrida che le case stanno sperimentando e le problematiche affrontate sono le stesse di altri spazi che, come il nostro Ecomuseo, attuano pratiche di comunità sul crinale dei beni comuni.
CLAC oltre a partecipare con l’Ecomuseo alla Fiera delle Esperienze, insieme a spazi di comunità e partecipazione provenienti da tutta Europa, ha curato il tavolo di lavoro “creatività community-based e pubblici attivi”. Circa 30 persone tra lavoratori e lavoratrici della cultura e del welfare insieme a rappresentanti di pubbliche amministrazioni locali si sono confrontate durante i lavori del tavolo sul rapporto tra arte e società, sulle pratiche culturali come strumento di inclusione, rigenerazione urbana, animazione sociale e sul tema della partecipazione culturale cercando in un confronto senza ipocrisie di mettere in discussione le retoriche che spesso banalizzano i processi di quella che si chiama innovazione culturale. Ne è nato un confronto molto denso a partire dalle esperienze dell’Asilo di Napoli e del MJC di Pau in Francia, di Kilowatt a Bologna, del Cecchi Point di Torino.
Sintetizzare qui è difficile ma procedendo per punti alcune cose importanti sono venute fuori: - La necessità di creare le condizioni per garantire, nei processi in cui gli artisti lavorano sulle dinamiche territoriali e su problematiche sociali, l’imprevedibilità dell’intervento e la libera circolazione delle relazioni e della critica, perchè è da lì che nasce il potenziale generativo e di cambiamento dell’arte
- Problematizzare il concetto di partecipazione culturale che ha almeno due livelli, uno più legato all’audience development e alla fruizione attiva delle pratiche artistiche e uno che fa riferimento invece all’accessibilità delle esperienze culturali per le fasce più deboli e meno colte della città. Mettere a fuoco bene gli obiettivi posizionandoli rispetto a questa classificazione quando si progetta un intervento certamente aiuta a definire strategie e monitorare gli impatti.
- Il tema della governance partecipativa, molto nuovo e le domande aperte che porta con sé: siamo sicuri sia sempre inclusiva? A quali condizioni può esserlo? Come fare in modo che l’auto-organizzazione negli spazi culturali sia una scelta e non un’imposizione di volontariato? Quali nuove forme di lavoro culturale possono nascere negli spazi di comunità?

E’ stata un’esperienza molto densa e ricca di stimoli e nuove conoscenze che mi ha ricordato, per alcuni aspetti, l’ultima edizione del nostro Nuove Pratiche fest e ha confermato che i mondi della cultura e del welfare devono parlarsi sempre di più e affrontare unendo esperienze e competenze le tante sfide alla sostenibilità/sopravvivenza che il tempo fragile che stiamo vivendo impone. Ecco forse la cosa più bella è stata potersi confrontare, senza finzioni, con il tema della vulnerabilità e della fatica ma tra persone, tante, che con le forme di disagio ci fanno i conti tutti i giorni cercando soluzioni concrete.
E di questo mondo, complesso e in continuo mutamento, anche noi ci sentiamo parte.